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Manrico Murzi ricorda il suo incontro con dylan thomas

Manrico Murzi, il poeta giramondo che incontrò Dylan Thomas


   ... Altra lingua il gallese! Quando Dylan Thomas per farmi uno scherzo
mi parlava nella sua lingua materna, pur non capendo niente le sue
parole mi giungevano dolci e affettuose. Ma se si arrivava a piazza
Santo Spirito, in Firenze, spesso quasi disabitata, allora era l'inglese che
splendido fluiva nella sua alta declamazione: avvertivo, e mi colpiva, lo
spirito divino della sua poesia. "And death shall have no dominion"...
Le sue labbra, sbresciate come gronde di un tetto che quando piove
sbavano e annaffiano i gerani sul davanzale di sotto, diventavano la bocca
di uno strumento a fiato, flauto o sassofono. Il suo volto si faceva
angelico, segnato dallo Spirito che gli aveva dettato il canto. Calpestava
una sua pianura marina dove ogni tanto scalpitava un cavallone sotto il
sole. Avvertivo l'orlo bieco di un'onda che si affacciava alla finestra della
mia anima. E allora, quand'era il mio turno, recitavo:
           Si faccia alba l'aria!
          Toglimi di dosso questo peso
          di tunica fenicia,
          e sarò libero sfogo di gazzella
          con occhi che guardano il cielo,
          ma vedono il pericolo
          muoventesi in agguato
          con occhi di gabbiano
          creduti in contemplazione,
          ma solamente cercanti
          vivo di pesce in giri d'elica.
E poi gli dicevo, pensando alla sua "Ballad of the long-legged bait":
Non mi vorrai mica esca dalle gambe lunghe per pesci distratti?
E lui, Dylan, rispondeva: Bisogna vedere quale gancio scegli
dell'amata che ad ogni amo ha un'esca diversa. Vedi, chi ha
buttato la lenza non è un pescatore comune". Gli chiedevo: Quante
volte in un giorno può cantare un poeta? E lui: La poesia è un incidente
di vita quotidiana.
   Un giorno sulla spiaggia del mio paese, Marciana Marina, con lo
sguardo alla spuma del mare, gli ricordai la troppa birra che beveva, e mi disse:
È bello abbandonarsi. Non riguardarti troppo!" Poi demmo le spalle al mare
e lo sguardo ai monti e ai fumi delle carbonaie. Gli spiegai che la legna,
coperta dal terriccio, bruciava senza mostrar la fiamma, producendo il
carbone per la cucina di casa. "Le strade della mia città sono tutte
macchiate dal carbone! Non tutto quel che brucia dà calore!"

 

Manrico Murzi

 

 Manrico Murzi, "poeta giramondo" (Marciana Marina , Isola d'Elba, 12 Marzo 1930), è un poeta, scrittoregiornalista e traduttore italiano. Fa parte dell'Unione Europea Scrittori Artisti Scienziati ed è ambasciatore di cultura per l'UNESCO.

https://it.wikipedia.org/wiki/Manrico_Murzi


massimo trombi: Dylan thomas a rio marina

Photo Credit: Massimo Trombi 

Dylan Thomas  a Rio Marina di Massimo Trombi

in La Piaggia, Inverno '99, pp 30-31

 

 

Quando Dylan Thomas sbarca a Rio Marina, il 20 luglio 1947, con la famiglia, nipote e cognata, è già un poeta molto apprezzato, l'incarnazione vivente di un mito per i giovani di una generazione.

Anticonformista, perennemente senza un penny, è dotato di una straordinaria e impetuosa vitalità espressiva le cui radici affondano nella tradizione celtica del Galles, e di Swansea, sua città natale.

Una città di mare, quindi, che "striscia e si stende lungo l'arco di una grande e splendida spiaggia, dove i ragazzi perdigiorno e ragazzi di Sandfield e vecchi di chissà dove cercavano fra la sabbia, bighellonavano, sguazzavano, guardavano le navi che rientravano o le navi che se ne andavano verso il mistero e l'India, la magia e la Cina". Una città di provincia con le sue miniere di carbone, col porto e le attività ad esso connesse, teatro di un'infanzia intrisa di giochi calati nello scenario naturale, or costruendo piste sulla sabbia, castelli e fortini, or vagheggiando imprese su cui egli fantasticava insieme ai suoi coetanei nel rifugio segreto immerso nel sottobosco. Rio Marina rappresenta la tappa conclusiva del suo soggiorno italiano.

 

Compromesso duramente nella salute dall'abuso di alcool, grazie ad un Travelling Scholarship Fund della Società degli Autori ottenuto per interessamento di Edith Sitwell, egli può finalmente partire per una lunga vacanza in Italia con l'intento di recuperare forze e ispirazione. Dopo aver visitato alcune città d'arte egli approda a Firenze e, dietro consiglio di J.L. Sweeney, telefona a Luigi Berti affinché pubblichi la traduzione italiana di alcune sue poesie su "Inventario", rivista fondata dal riese che vantava una redazione americana diretta dall'amico Renato Poggioli.

Attraverso il Berti il poeta gallese entra in contatto con alcuni autorevoli rappresentanti della cultura fiorentina, tra  cui Mario Luzi, Eugenio Montale, Alessandro Parronchi, Piero Bigongiari, Ottone Rosai e altri. Lo invitano a cena ma lui sprofonda nella poltrona completamente ubriaco. Racconta il Luzi:"Del resto egli sentiva e ricambiava come poteva la simpatia e la naturalezza che lo circondavano e lo si vide quando in casa di Alessandro Parrochi, nell'allegria festosa della brigata, si sciolse d'un tratto e si animò: dette allora una lettura di Milton e di Shakespeare d'una melodia insieme fine, ampia, profonda, straordinariamente vigorosa, che lasciò a tutti un'impressione forte come d'una scoperta nuova di quegli antichi testi e del loro lettore".

Mentre la moglie e la cognata si divertono a fare le turiste per le vie di Firenze, Dylan staziona alle "Giubbe Rosse" vuotando l'un dopo l'altro bicchieri di birra. Nel frattempo prende domicilio a Villa del Beccaro, a Mosciano,sopra le colline di Scandicci. Scrive ai genitori:"Le domeniche una famiglia di Firenze viene a passare la giornata da noi con due ragazzetti, il padre (Luigi Berti n.d.r.) dirige una rivista trimestrale, e ha tradotto un gran numero delle mie poesie. Ma l'ostacolo della lingua impedisce a Llewelyn e ai suoi ragazzi di trovarsi realmente bene insieme".

E' in quegli incontri che Dylan e Luigi fraternizzano, che matura l'intenzione di trascorrere l'ultimo periodo di vacanza all'Isola d'Elba. In una lettera all'amico T.W. Earp dell' 11 luglio egli scrive: "Ho chiesto al professore notizie sull'Isola d'Elba, ove pensavamo di andare, e ha detto - era il primo commento che gli sentivo fare- "Plenty di fish-dog" ("Piena di pescicani" n.d.r.). Traduce Henry James e Virginia Woolf. Il clima infernale della campagna toscana sfianca il nostro poeta e la prospettiva di partire per Rio Marina gli dà grande sollievo.

La prima cartolina che Dylan Thomas spedisce il 26 luglio 1947 a Bill e Helen McAlpine da Rio Marina reca il seguente testo: "Un messaggio dall'Albergo Elba, RIO MARINA, ISOLA D'ELBA, ITALIA. Fortunato Napoleone! Questa è un'isola bellissima; e Rio Marina il più strano villaggio che vi esista: vi abitano soltanto pescatori e minatori: pochi turisti: nessuno dei quali straniero. Severo all'estremo. Qualcosa di simile a una Caherciveen latina. Avvisi "Proibite le risse" in tutti bar. Cognac dell'Elba 3 penny. Naturalmente nessun orario. Bagni meravigliosi...". L'albergo di cui si fa menzione è quello di Giovanni Chiesa, all'epoca con le stanze da bagno appena ristrutturate ma mancanti dell'allacciamento dell'acqua. In "Double drink story", autobiografia di Caitlin Thomas, ella ricorda questo particolare, la gentilezza dei gestori e la buona cucina casalinga. Rammenta altresì le viuzze che bisognava percorrere per accedere al mare e le schiene scorticate dei suoi cari sotto il sole sferzante di quel luglio eccezionale.

Augusto Livi fornisce questa testimonianza: "Così, quest'anno, nel villaggio di case erte e di scale di pietra, anche i cani piccoli e rossicci si fermavano agli angoli delle salite quando passava il poeta Dylan Thomas con la sua testa di Bacco e i suoi panni a due tinte, verdi i calzoni e rosa la camicia." E ancora:"...l’aria bassa e l'aria alta, quella del porto e quella delle miniere, dove Dylan Thomas, passando sulle creste con un berretto bianco e la camicia lunga fuori dai pantaloni sembrava un arcivescovo". Un personaggio siffatto non poteva certo passare inosservato a Rio Marina. Nonostante l'ostacolo della lingua egli riusciva a comunicare con tutti e le solenni sbronze suscitavano nei suoi confronti un clima di simpatia e ilarità.

Elvio Chiesa in più di un'occasione mi ha raccontato di averlo riportato in albergo ubriaco.

Solo il privilegio dell'età può far ricordare la Rio Marina del dopoguerra, le strade, le case, la storia di una comunità che è andata via crescendo; e con essa gli odori, i visi e la forza d'innumerevoli braccia sacrificate alla miniera. I più giovani possono avvalersi di vecchie fotografie che testimoniano di grossi cumuli di minerale pronti per essere faticosamente caricati sui bastimenti da operai con le schiene bruciate dal sole. Nella lettera a Margaret Taylor del 3 agosto egli si lamenta per il troppo caldo e scrive: "...Anziani e riarsi minatori, cinquant'anni nel fuoco, ringhiano contro il caldo mentre trascinano nudi, sui moli scheletrici, gli arrugginiti vagoncini". E ancora: ".... amo quest'isola e vorrei non vederla in una delle stagioni infernali."

E' in quei giorni che Dylan Thomas attende a "In Country Sleep", la più bella poesia che egli abbia mai scritto. Ed ha ragione Luigi Berti - nella commemorazione che fa dell'amico scomparso apparsa sul "Corriere Elbano" del 7 gennaio 1954 - a dire che il poeta gallese "avesse stabilito rapporti d'amicizia e di simpatia con gli abitanti dell'intero paese di Rio Marina - ove aveva trovato gente che in quanto a bere vino gli dava dei punti - ma forse tutto avveniva perché nell'ambiente delle miniere e dei minatori Dylan molto  ritrovava del suo Galles (la gente antica e rude, ma sincera; i paesaggi selvatici e aspri, le vie strette e a scala, il via- vai degli asini e delle capre), tutta l'atmosfera di un paese massiccio che a momenti appare come un vero pianeta a sé stante, sconvolto come sempre dalle cave e dalle mine, dalle nuove escavazioni e dalle nuove strade che queste comportano. A Rio, infatti, Dylan già lavorava a quel radiodramma sulla vita dei minatori del Galles...ma in certi caratteri par di ravvisare Pierino, anarchico e l'uomo più forte dell'Elba che quando diceva basta era basta in terra e in mare; il Chiros, con la maglia da cambusiere greco che portava in quell'agosto del 1947, dietro il banco del suo caffè".

Dylan era e si proclamava socialista. Di un socialismo inteso nell'accezione tolstojana, una sorta di cristianesimo primitivo, dove l'attenzione si rivolge agli umili, ai minatori delle miniere di ferro, ai pescatori, ai contadini. E' ad essi che egli guarda, quasi per un bisogno insopprimibile di esprimersi e quindi di prendere posizione, guidato da un'alta concezione del valore della dignità umana. Al suo arrivo a New York nel 1950 le autorità statunitensi, al corrente delle sue propensioni politiche, gli crearono da subito difficoltà perché egli aveva firmato la petizione di pace di Stoccolma ed era stato a Praga per un congresso letterario. Pur tuttavia la fama del" fine dicitore" prevalse e venne acclamato e conteso ovunque, finché cadde in coma dopo aver trangugiato diciotto whisky. Morì il 9 novembre 1953, a soli trentanove anni, senza aver più ripreso conoscenza.

Certo la poesia di Dylan Thomas non è semplice. Abbisogna di una chiave di lettura e il senso prende forma

dopo aver percorso sentieri tortuosi, labirintici. Poggia su una creaturalità metamorfica che dà origine a immagini che continuamente si contraddicono, immagini cozzanti a cui applica, nel rispetto dei limiti formali che si è imposto, il minino di controllo critico, con l'effetto di produrre una "deflagrazione semantica" che libera e rivela - e in ciò risiede il suo più alto significato - la percezione di un sentimento.

Ed è il sentimento - il puro sentimento - ciò che avevano colto quella ventina di persone (marinari, pescatori,cavatori, donne e bambini) riunite sotto una pergola la sera del 7 agosto '47 per onorare il poeta. Senza nozioni d'inglese e di metrica. Lasciandosi trasportare unicamente dalla voce modulata di Dylan che prende mille sfumature, seguendone il ritmo, cogliendone il timbro, le profondità, lasciando affiorare calde incontenibili lacrime che 'luccicano" scrive il Berti " come le squame dell'oligisto nella cava". E' questa la magia della poesia! Dylan la scolpiva lentamente, sottoponendo i versi a inusitate pressioni, restituendone la natura magmatica e minerale, orchestrando sapientemente metafore, dove le associazioni mentali si trasformano in onde elettriche cariche di tensione visionaria, 'concentrate sul rapporto "vita-morte", sul simbolismo biblico che caratterizza molte sue liriche, dove la parola acquista una propria gravità, necessità, verità.

 Non deve sorprendere la commozione degli astanti, perché quella sera essi hanno assistito ad una visione, una dolce musica, una preghiera: ed hanno compreso!

Dylan Thomas ha amato molto Rio Marina. Non solo per il buon vino che egli beveva nei bar, quanto perché gli restituiva un'atmosfera più congeniale, familiare. Ecco perché a Firenze in fondo si annoiava. Gli interessava solo d'incontrare qualcuno con cui fosse possibile bere un bicchiere, stare in mezzo a gente autentica che non fosse necessariamente intellettuale, lontano dai formalismi e dalle frasi di circostanza. Aveva bisogno d'intimità e a Rio l'ha trovata. Coi suoi spazi e il suo mare, la sua natura e i suoi silenzi. Anche qui come a Swansea i bambini giocavano sulla spiaggia a chi tirava sassi più lontano magari oltre il pontile, anche qui qualche volta suonava la banda. Ma quel che più conta è che in questo paese di minatori egli ha trascorso momenti felici. E a noi piace ritrarlo così, lui che non sapeva nuotare, intento a leggere nell'acqua tra due scogli - fosse a Cala Seregola od Ortano poco importa - col mozzicone di sigaretta che gli pendeva dalle labbra e i gabbiani che gli svolazzavano sopra.

Rio Marina ha ospitato uno dei più grandi poeti della letteratura inglese e molti ignorano l'importanza di questo avvenimento. Sarebbe opportuno che il Comune gli dedicasse almeno una targa che attestasse il suo soggiorno nel nostro amato paese: una presenza così significativa non deve venire trascurata. E' una questione di cultura che arricchisce di nuove pagine la nostra storia, una perla opaca recuperata nella memoria a cui bisogna restituire, con un gesto d'affetto, l'antico candido splendore.

 

 

 Massimo Trombi

 

Massimo Trombi (Torino, Italia), libraio.

Studioso del periodo italiano di Dylan Thomas

 

https://www.binariagruppoabele.org/

 


Giovanni Cordero: Seduco, dunque sono

                                                            SEDUCO, DUNQUE SONO.

 

 

 

   Le donne, che hanno il potere di creare la vita, sono naturalmente portate all' uso fantasioso della parola e a produrre originali affabulazioni. Sono capaci di rielaborare con la voce immagini visionarie che istintivamente riescono a  sciogliere nel linguaggio materno. Con sapienza intuitiva  sanno riportare nelle filastrocche, nelle ninne nanne, nelle cantilene  il divertente capriccio della variazione musicale e dell'invenzione del testo e, per certi versi , a teatralizzarlo per esclusivo diletto filiale. Sono forme poetiche arcaiche. Un canto primitivo dove il ritmo del respiro associato al tono femminile e al cullamento assume forme metriche ingenue e semplici. Le loro composizioni, ricalcate sull'eco delle lallazioni infantili,  sono una risposta all'interno di un dialogo precoce ed esclusivo. Dunque la prima forma di musicalità è la voce della madre o di chi si  prende cura della prole.  La gioiosa risposta del bambino inevitabilmente fa da contrappunto a questa primaria forma di conversazione e la completa.

    Ritengo che la malia della parola prenda origine dal sottile piacere per il gioco delle immagini associato all'armonia dei suoni, alla cadenza e al timbro e si identifichi con  il mistero che in esso vede custodito  la meraviglia creatrice del mondo. Dunque mi pare verosimile che il godimento preverbale infantile sia l'arcano responsabile della fascinazione in Dylan Thomas per la parola. Penso che l'attrazione per la poesia sia avvenuta in maniera molto precoce in età adolescenziale e in modo aurorale fin dai primi anni di vita.  Presumo che lo stupore verso le assonanze e l'attrazione per le polisemie della lingua gallese gli derivi dagli incantamenti inconsci  provenienti dal personale e domestico universo femminile. Una sorta di caldo gineceo famigliare,  vagamente istrionico, in cui si è trovato accolto fin dai primi vagiti. Un ambiente che ha plasmato, nella varietà espressiva, tutta la   vita , compresa la sua poetica adulta, definita a volte limpida e brillante , a volte caustica e urticante, a volte ancora ombrosa o dolcemente rinfrescante. Sempre ispirata alla bellezza, alla passione, alla seduzione e... alla trasgressione immaginifica della parola  quando ha la capacità di diventare musicalmente armoniosa e luminescente.

La critica letteraria più avvertita, a cui lascio l'esegesi poetica, identifica in Dylan Thomas il più grande poeta della storia del Galles.  Ma qual è la fonte di tanta creatività? La sua biografia ce lo descrive come l'ultimo dei “poeti maledetti”. Lo scrittore più ribelle e trasgressivo della prima metà del novecento. Da parte mia  tenterò un'indagine psicologica del suo vissuto emotivo, affettivo e sensuale a partire dal suo milieu domestico per seguirlo nel suo tormentato viaggio esistenziale fino alle luci di quella ribalta pubblica che gli saranno fatali. La storiografia corrente  lo dipinge come dipendente dall’alcol ed erotomane. Eccentrico e provocatorio. Seduttore ostinato e irriducibile. Ossessionato dalla mancanza di denaro, inseguito dai debiti e ladro. Malato di asma con l’immancabile sigaretta penzolante fra le labbra. Conduce la sua pur breve vita in modo dissipato e randagio.

Via via definito, da chi l’ha conosciuto personalmente, come splendido mascalzone, amante brutale, cialtrone impenitente e disperato. “Un gran bastardo” secondo la definizione ricorrente di sua moglie Caitlin.

Un attributo poco generoso confermato dall’ultimo figlio Colm Thomas: “Il marito peggiore del mondo, che lei odiava, detestava perché sempre ubriaco, sempre al verde, infedele e bugiardo. Padre assente e menefreghista, ma che mia madre amava come la prima volta che lo incontrò. Innamorata, ricambiata da questo orrendo marito che adorava e odiava contemporaneamente e in cui si rispecchiava totalmente”.

   Lei è Caitlin: ballerina vitalistica e sfrontata, pittrice, scrittrice, anticonformista, con precoci esperienze erotiche e rapporti sessuali saffici, plurimi ed esibizionistici. Affascinante, irresistibile e coltissima, sua vera musa ispiratrice, suo alter ego, gran bevitrice che sa scatenare furenti battaglie passionali cariche di sospetti, gelosie, violenze reciproche e altrettante appassionate riappacificazioni.

   Lui è Dylan: non certamente un Adone, precocemente imbolsito nel fisico a causa delle troppe bevute, il ricciolo unto cascante sulla fronte, gli occhi gonfi per le notti insonni, le labbra tumide e insalivate, il dente incisivo rotto, il ricordo di una sbronza micidiale a Londra. Si racconta che una sera, uscito da un  pub si sia accucciato per terra e abbia simulato di essere un cane e mordendo un lampione si sia fratturato il dente superiore.

Ha il fascino del cucciolo senza collare, l’aria persa nel nulla del randagio fuori dal branco. Possiede una grazia infantile che suscita in amici e amanti il desiderio di proteggerlo da se stesso, di salvarlo dall’abisso verso cui si è incamminato: un mondo di solitudine. Vano ogni  tentativo di costruire un amore vero che lo protegga dalle trappole che tende a se medesimo, che lo tuteli dalla mancanza di difese verso gli insulti della vita, che lenisca i  dolori che gli bruciano in gola, nei polmoni, nelle viscere, che lo liberino  dalle ossessioni e dalle  ansie e dagli incubi notturni e dai deliri. Spinto da un istinto autodistruttivo, Dylan prosegue imperterrito verso il baratro del nulla.

Attorno a lui volteggia un coro danzante di voci femminili, novelle Muse ispiratrici che tentano in ogni modo di compiacerlo, di vezzeggiarlo e di viziarlo. Tanta attenzione lo lusinga, lo blandisce, l’adula e l’asseconda nella discesa verso la voragine nera della follia. Sono complici silenzi che favoriscono il suo narcisismo e il delirio di onnipotenza, e che non gli impediscono di essere vittima delle sue stesse debolezze, schiavo dei suoi complessi, arrogante esibizionista teatrale. Prepara la sua fine in quel novembre del 1953, in uno squallido pub, a New York in preda all’ultimo delirio alcolico, scatenato da diciotto whisky poco prima bevuti a cui verrà aggiunta una dose letale di morfina iniettata da un medico ignorante e incapace, che annienterà la sua voglia di vivere e lo porterà a morire in un anonimo ospedale americano fra le braccia della sua ultima amante.

Qual è, dunque, il lato oscuro che si nasconde nella psiche di questo inquietante poeta che ha saputo inventare una lingua intensissima, evocativa di contenuti complessi e multiformi, articolati e densi di spiazzanti metafore? Da dove origina questo nuovo lessico che si esprime con simbologie e rimandi interni di dificile comprensione? Quali tipo di visioni riesce ad  aprire su dei mondi che ci appaiono infiniti e senza tempo e come vanno lette quelle insolite vedute ? Con quali  inusuali chiavi interpretative dobbiamo operare per indagare il suo carattere? Cosa si nasconde nelle pieghe della sua personalità vittima dell’ossessione erotica e della dipendenza alcolica e nicotinica? Da dove nasce il suo bisogno ossessivo di sedurre, inanellare flirt e avventure sessuali con innocenza molesta?

   Forse il giovane Thomas agisce in tal modo per il solo gusto di testare la sua abilità di incantare le menti altrui e di provare continuamente le forti emozioni che gli procura questa dinamica perversa. Forse perché si sente più coinvolto dalla caccia di nuove prede da sedurre, più interessato dalle trame del gioco amoroso e dall’intrigo mentale della sudditanza psicologica, che dal risultato della conquista vera e propria. Forse perché cerca una riprova della propria esistenza, attraverso il piacere compulsivo di sottomettere una donna e vederla inginocchiata davanti al suo genio creativo, attratta dalla forza della sua poesia, dalla musica delle sue parole, dalla sua oratoria magniloquente che incanta l’uditorio. Glielo riconoscono tutti, quando recita a voce alta vi è qualcosa che sovrasta il poeta, che supera l’attore sulla scena. L’uomo si trasforma in un antico bardo invasato, in grado di fare prodigi e incantesimi con versi che rapiscono l’anima, parole arcane che portano alla meditazione e alla contemplazione dei misteri insiti nella natura umana e nel cosmo infinito.

 

Se il bambino è il padre dell’adulto che è in noi, possiamo intravvedere già dai suoi esordi infantili e adolescenziali il futuro del giovane Dylan Thomas . Frequenta fino a sedici anni la scuola dove suo padre David, laureato in letteratura inglese e scrittore, insegna con metodo rigido e severo e spinge il figliolo a parlare solo inglese, piuttosto che il gallese: la lingua di sua madre e delle care zie che tanta influenza ebbero non solo sulla crescita psicologica del ragazzo, ma anche sulla sua poetica futura. Era come stregato dalla lingua materna carica di miti popolari e immagini antiche, imbevuta di folklore locale, di figure retoriche, di assonanze e timbri oramai desueti nel linguaggio corrente.

   Nato nel 1914, primo figlio maschio, è viziato da tutti, a partire da sua sorella Nancy di nove anni più grande, che spesse volte deve fare le veci di sua madre Florence Hanna Willians occupata nella conduzione della casa e dalla cura dei numerosi componenti della sua famiglia. Non gli mancano le attenzioni della zia paterna che abita vicino a loro e l’affetto della zia materna “Aunt Dosie” Theodora, sorella della madre che dimora a Newton sopra Mumbles ed è piena di premure nei confronti del nipote. E’ presso di lei che il giovane Dylan passa molti fine settimana e le vacanze estive.

Un’ altra zia materna, Anna Jones, vive in una fattoria a Fernhill, che ispirerà il poema con lo stesso titolo e per la stessa ammissione di Dylan la zia lo riempie di cure e attenzioni “Lei mi amava in modo abbastanza inusuale, mi accarezzava, mi coccolava e mi viziava oltremodo.”

Quando ancora giovanissimo intraprende la carriera giornalistica, arricchisce il suo gineceo di nuove figure femminili. La prima ragazza importante, di due anni più grande di lui, fu Pamela Hannsford Johnson, che diventerà una scrittrice di successo. A lei confida tutti i suoi dubbi e le ambizioni future. La loro relazione si interrompe bruscamente quando lui le confessò: “ho sprecato parte del mio grande amore per te con una ragazza grassoccia e con una reputazione da inferno.” Pamela si vendica sposando il chimico e romanziere inglese: C.P. Snow.

Ben presto Dylan incontra un’altra donna, di sedici anni maggiore di lui. E’ la scrittrice americana Emily Holmes Coleman, conosciuta al Six Bells: un pub di Chelsea, dove entrambi frequentano un gruppo di Surrealisti, artisti gay, poeti e registi sperimentali.  Donna bisessuale, fortemente provata da una depressione post partum e da un esaurimento nervoso che la porterà al ricovero in una clinica psichiatrica, esperienza che descrive nel suo unico romanzo: “Il manto di neve”.

 E' lei che favorisce l’incontro con Caitlin Macnamara che presto diventerà sua moglie. Emily descrive Dylan come “Un vero bohèmien, eccentrico e impulsivo. Un animale dagli occhi tondi, con una risata gutturale e un temperamento gentile”. Quando convolò a nozze con Caitlin entrambi erano poco più che ventenni e passarono il resto della loro vita condividendo la grande miseria della guerra, i tradimenti ripetuti, gli inganni reciproci, le grandi bevute, le violenze fisiche e gli aggressivi soprusi da cui Dylan usciva sempre sconfitto. Nonostante tutto li univa un perfetto legame simbiotico che a lui ricordava il grande abbraccio tenero e avvolgente del mondo dell’infanzia del natio Galles.

Mentre la moglie viene ricoverata in ospedale per partorire la secondogenita Aeronwy, conosce in un pub di Londra Pamela Glendower, con cui intreccia una relazione che finisce presto. Pamela riporta in un’intervista il carattere fragile di Dylan ossessionato dalla paura di stare solo la notte e i suoi sogni sono veri e propri incubi gremiti di topi e vampiri, forse primi segnali allucinatori del “delirium tremens” tipico degli alcolisti cronici.

Durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti incontra a New York la giornalista direttrice del periodico Harper’s Bazar: Pearl Kazin. Il loro rapporto amoroso e l’ammirazione reciproca è testimoniato nelle numerose lettere che si sono scambiati nel tempo.

Fanno da corona alle numerose amanti alcune generose benefattrici dell’ambiente altoborghese e aristocratico londinese. Tramite loro ottiene la solidarietà del mondo intellettuale londinese che lo sosterrà sia moralmente che finanziariamente.

Nei confronti dell’anziana poetessa e saggista inglese: Edith Sitwell, dalla personalità eccentrica e sofisticata, il giovane Dylan con belle parole e blandizie cerca di guadagnarsi un atteggiamento comprensivo e condiscendente per la sua situazione economica.

Da Margaret Taylor potente moglie dello storico A.J.P. Taylor, che gli fa visita per aiutarlo a trovare una casa in affitto per la sua famiglia, si fa comprare la tanto agognata Boat House di Lougharn. Dylan scrive per ringraziarla:” Mi hai dato una vita…e ora vedo di viverla”. Sarà lei che si prenderà cura del poeta nei tragici giorni della fine.

Anche Marged Howard-Stepney, aristocratica intellettuale non sarà indifferente alle sue richieste di appoggio economico, ma sarà per l’amica Margherite Gibert Chapin sposata al principe Roffredo Caetani, raffinata mecenate del Connecticut che a Roma aveva fondato la rivista “Botteghe Oscure”, che Dylan avrà parole di profonda gratitudine e sincera riconoscenza per i suoi numerosi e generosi assegni a sostegno della sua produzione artistica.

In ultimo vi è l’amante americana Liz Reitell a cui cerca di ispirare pietà per la sua condizione di “mendicante alcolizzato che striscia per i vicoli perduti della metropoli”. E’ con lei che passa gli ultimi dieci giorni del suo terzo viaggio americano. Una breve e passionale relazione amorosa infuocherà gli ultimi giorni del bardo gallese. Lei veglierà sulle sue ultime ore all’ospedale newyorkese mentre Caitlin disperata lo raggiungerà quando oramai la vita l’avrà lasciato.

La fotografa Rollie Mc Kenna ha fortemente contribuito a creare il mito di Dylan Thomas. Ricercatrice per le riviste “Time” e “ Life”, frequentando i circoli letterari e artistici degli Stati Uniti e dell'Europa dagli anni '50 agli anni '80, si era specializzata  nel ritrarre le stelle del gotha letterario, in particolare aveva posto la sua attenzione su Dylan Thomas, a cui fu presentata nei primi anni '50. Divenne sua amica e principale ritrattista e nel 1955 realizzò un film, "I giorni di Dylan Thomas", che vinse diversi premi internazionali. Ha anche pubblicato un portfolio: "Portrait of Dylan: A Photographer's Memoir" (1982) che ebbe un notevole successo.

Tentando una sommaria analisi psicologica del comportamento di Dylan Thomas si può ipotizzare che all’origine del bisogno ossessivo di sedurre, di collezionare amori superficiali, di concedersi facilmente avventure sessuali, di far ruotare tutto intorno a lui, cercando di essere sempre al centro dell’attenzione, ci sia una profonda insicurezza, un’incapacità di costruire un rapporto autentico, un ‘incapacità di stabilire un vero e sincero dialogo e scambio con altre persone, una debolezza di sintonia con gli altri. Competenze caratteriali irrisolte che  forse si possono far risalire ad un rapporto genitoriale carente: la figura del padre assente e la madre sostituita da figure tutoriali supplenti, interscambiabili a volte inadeguate.

Senz’altro Dylan avrebbe sognato un rapporto esclusivo con la madre dalla quale avrebbe voluto ricevere tutto il suo calore, invece ha dovuto dividerlo, forse elemosinarlo da altre figure sostitutive. Avrebbe desiderato un amore unico e ora quell’amore, che in parte gli è stato negato, se lo costruisce falsamente, lo recita, lo mette in scena per sedurre la donna che incontra. Dylan sa che la vera forma dell’amore è la “nostalgia” per l’amore primario che gli è mancato. E' il desiderio che dimora in ognuno di noi di poter vivere quell’ incantesimo che ci permette di essere reputato l’unico, il prescelto. Per tutta la vita è il figlio che cerca la madre e non la trova perché nessuna donna è all’altezza. Dylan diventa dunque schiavo del  complesso narcisistico che lo porta ad esibirsi in pubblico con teatralità, di presentarsi come eroe trasgressivo e impenitente, tanto da sfidare la morte con assunzione smodata di alcool, di cibo, di fumo e ne supera i sensi di colpa con la smania di protagonismo. Non considera la donna come una persona con cui confrontarsi ma la reputa semplice strumento per la realizzazione delle sue fantasie. Ogni donna sedotta diventa un rinforzo per il suo “ego” e nell’affrontare la prossima conquista, che terminerà appena l’avrà raggiunta, la donna attratta diventerà la conferma della sua forza.

Quindi il suo scopo è attirare l' amata nella rete seduttiva, ma pericolosa, della passione non abbracciarla nel calore avvolgente e protettivo dell’amore. Dylan Thomas è una sorta di dongiovanni, un libertino che non si innamora mai veramente, seduce la donna, poi l’abbandona o si fa lasciare, non per piacere ma per ingannare e umiliare la sua vittima, ed eventualmente, anche “castigare”i loro mariti. Poi si allontana e svanisce all'orizzonte alla ricerca di nuove prede, incurante dei sospiri e delle lacrime lasciate dietro di sé. L’ ossessiva strategia di seduzione non fa altro che confermare la sua paura della donna e del potere che il femminino esercita su di lui. Il profilo psicologico di Dylan Thomas nasconde un individuo fragile, pavido e insicuro, che cerca di passare come malaticcio e di salute cagionevole per non essere arruolato nella seconda guerra mondiale. Si stima poco e trova la sua identità solo dalle conferme che gli derivano dagli applausi del pubblico femminile adorante.

Dunque il poeta rimane, fino alla fine dei suoi giorni, un bambino capriccioso ed impulsivo, un narcisista egocentrico, un seduttore seriale, ancorché un genio ricco di energie creative. Un grande scrittore: sublime nella sua arte ma irrisolto dal punto di vista etico. Un arrogante che rifiuta il giudizio moralistico, fedele a se sesso, schiavo dei suoi complessi, vulnerabile e fragile tanto che la maschera del poeta maledetto, che si autoimpone, diventerà presto la sua prigione.

 

 

Giovanni Cordero

 

Torino 14 maggio 2020

Giovanni Cordero. Ha svolto attività di ricerca e docenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, l’Università di Torino, l’Accademia delle Belle Arti di Cuneo ed è stato Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Sanremo. Ha pubblicato i romanzi: “Silenzi. Il destino alle 18”. Editrice Psiche, Torino. “L’Albergo dei gatti”. Editore Albatros, Roma.  “L'impronta di cioccolato”. Emersioni Castelvecchi, Roma. Iscritto all’ Ordine dei giornalisti e degli psicologi.

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